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Dott. Adriano Tango

 

 
Nato a Roma nel 1950 e residente ed operante come ortopedico a Crema dal 1977
  • Primario dal 99 nell’Azienda Ospedale Maggiore di Crema
    Nel 94 vincitore del premio OTODI per il miglior lavoro scientifico.

  • Tre cariche di Consigliere, una di Vicepresidente, una di Presidente in Società scientifiche nazionali.

  • Attualmente Segretario nazionale dell’Associazione Italiana Traumatologia – Ortopedia Geriatria (AITOG) e Consigliere Sodalizio Lombardo Ortopedici Traumatologi Ospedalieri (SLOTO)

  • Più volte docente in corsi di perfezionamento.

  • Organizzatore di 14 Corsi e Congressi a Crema e Milano.

  • Editor di un volume monografico ed Autore di 55 pubblicazioni a mezzo stampa.

  • Campi di interesse: Chirurgia del piede Chirurgia dell’anca. Osteoporosi ed osteopatie senili

  Estratti da pubblicazioni scientifiche personali

“Piede piatto” e “piede cavo” dall’infanzia alla senilità
Queste deformità del piede erroneamente considerate da alcuni “varianti anatomiche” rappresentano al contrario la premessa per una disfunzione grave in età variabili della vita e quindi vere malattie.
Entrambe possono essere considerate errori nel normale sviluppo dell’organo ma è erronea la semplificazione secondo cui l’una rappresenterebbe l’opposto dell’altra: le componenti longitudinali e torsionali possono infatti variamente associarsi.
Mantenendo comunque queste semplificazioni si può tracciare così l’evoluzione e la conseguente necessità di cure nel corso della vita: 
Il “piede piatto” ha il suo esordio nelle gravissime forme congenite (piede a dondolo) già alla nascita.
Attualmente l’allarme è dato già dal Pediatra e l’Ortopedico provvede ad un trattamento chirurgico precoce.
Dalla famiglia viene generalmente la segnalazione dei casi sospetti intorno ai tre anni.
Fra i tre e gli otto anni il trattamento è ortesico, cioè con plantari di concezione diversa nei vari momenti evolutivi.
Nei casi non rispondenti si passa quindi ad un’analisi radiografica in carico ed eventualmente ad un’analisi del passo computerizzata.
Fra i nove ed i dodici anni è possibile con piccoli atti chirurgici (day hospital, minincisione, carico immediato) che non modificano gli elementi scheletrici ma ne ripristinano solo i corretti rapporti ottenere buoni risultati.
In età adolescenziale le soluzioni sono già più drastiche: osteotomie (sezioni) di calcagno e plastiche tendinee.
Nel giovane adulto può essere necessario stabilizzare l’articolazione fra astragalo e calcagno determinandone la fusione (artrodesi) per mantenere i corretti rapporti.
Nell’età adulta - senile i casi trascurati presentano una degenerazione artrosica tale da costringere l’ortopedico nei casi dolorosi a sacrificare più articolazioni (artrodesi di sottoastragalica e multiple del tarso).
In considerazione della tollerabilità delle cure in fase precoce e del crescente impegno e sacrificio in fasi successive il “piede piatto” va visto come malattia altamente invalidante che necessita di diagnosi precoce e cure appropriate.

Il “piede cavo” ha esordio clinico più tardivo (diagnosi generalmente in età preadolescenziale, scarsi disturbi. In seguito possono comparire dolori da affaticamento e segni di instabilità.
Una saggia condotta in tale fase è basata solo sul compenso con plantari, eventualmente studiati con l’aiuto di computer (baropodometria).
Nell’adulto ed ancor più nell’anziano la malattia si esprime con dolori delle articolazioni del tarso e soprattutto con metatarsalgia (carico doloroso sull’avampiede, formazione di calli. In questa fase la cura è chirurgica e si basa su atti detensivi su fascia e muscolatura plantare e sezioni dell’osso a vari livelli (osteotomie e resezioni) che riequilibrano i carichi e correggono simultaneamente anche l’alterazione estetica.
La tolleranza pertanto può essere maggiore nelle fasi precoci ma un’osservazione attenta si impone in caso di ereditarietà: la familiarità del piede cavo è infatti elevatissima e collegata spesso a neuropatie genetiche per il resto benigne e non diagnosticate.

 

Alluce valgo e metatarsalgie

Il comune alluce valgo è il più evidente degli elementi di un più complesso squilibrio di carichi al suolo che determina alla lunga la metatarsalgia (carico doloroso, callosità e successivamente deformità delle dita e /o lussazioni metatarso falangee).
L’attenzione del Paziente è attratta prima dalla deformità del primo dito e protuberanza della testa metatarsale (così detta cipolla) semplicemente perché possiamo vedere i piedi dall’alto mentre la loro funzione è solo dal basso (trasferimento dei carichi al suolo).
Pertanto paragoniamo ciò che vediamo alla carrozzeria di un’auto, mentre ciò che è indispensabile al funzionamento è sotto (telaio – ruote).
La sintomatologia propria dell’alluce valgo è legata essenzialmente al conflitto con la calzatura, ma il suo cattivo funzionamento sovraccarica i raggi medi, che possono essere comunque già sovraccaricati per un eccesso di peso sull’avampiede (piede cavo ad esempio) o per brevità del primo metatarso associata o meno a deformità.
L’assetto torsionale del retropiede determina inoltre la distribuzione delle funzioni ed anche l’evoluzione delle deformità.
Il trattamento entro certi limiti può essere compensativo con plantari, senza illusione di poteri realmente curativi.
Il trattamento chirurgico in fasi precoci può interrompere questa cascata di eventi peggiorativi, mentre nelle fasi avanzate l’intervento deve riequilibrare l’intera struttura agendo a più livelli.
I tempi di ripresa sono ovviamente diversi, ma in nessun caso è attualmente richiesta l’immobilità o l’astensione totale dal cammino, che per l’intervento base può essere ripreso con poche precauzioni già il giorno dopo l’intervento.
L’accettabilità dell’intervento è enormemente accresciuta dalle moderne tecniche di anestesia in grado di sopprimere il dolore per più giorni.
La necessità di ricovero è limitata ad uno/tre giorni.


Deformità congenite d’anca, coxartrosi ed artroprotesi
La deformità nota come displasia dell’anca, vizio di forma e rapporti congenito con elevata ereditarietà che nelle forme più gravi si identifica con la lussazione congenita è nota già dagli albori dell’ortopedia ed osservata già dai Maestri Medici dell’antica Grecia.
Ciò che ora sta venendo alla luce è l’importanza delle deformità minori, non evidenti alla normale radiografia, nel determinare fenomeni di usura precoce e quindi all’artrosi dell’anca.
Ciò non stupisce se si pensa al periodo di garanzia di un’automobile in cui la ditta risponde di rotture da imperfezioni costruttive.
La sostituzione dell’articolazione con impianti meccanici ha visto un’evoluzione brillante nel corso di cinquant’anni.
Dato il riconoscimento dell’elevata variabilità anatomica grazie a studi TAC e di anatomia è attualmente errato credere nella superiorità assoluta di un modello protesico su un altro, mentre , a pari contenuto tecnologico, vi saranno modelli più adatti ai singoli Pazienti e Pazienti a cui nessun modello è adattabile.
Questo principio evidente per l’acquisto di un paio di scarpe o per la costruzione di una dentiera è sottovalutato ancora in gran parte del mondo ortopedico.

 

La tecnologia di ditte avanzate in campo informatico ci permette al contrario:
1. Di ricorrere all’aiuto del computer per l’analisi delle radiografie del Paziente e scelta del modello protesico più adatto, programma dell’intervento con livelli dei tagli, misure etc. (analogia alla scelta di modello ben calzabile e misura idonea di una calzatura)
2. In caso di elevate deformità di progettare e programmare la costruzione di un modello personale sulla base di dati TAC che oltre ad adattarsi come un calco all’osso (analogia con la dentiera) correggerà in un sol tempo tutti i difetti di lunghezza ed orientamento dell’arto.
Oltre al miglioramento dei materiali sono questi i reali presupposti per una maggior durata degli impianti protesici e la possibilità quindi di affrontare l’intervento anche in età giovani, nei casi più gravi, con un’evidente vantaggio sui rischi e sulla qualità della vita.

L’osteoporosi
L’incremento di vita media è fatto a tutti evidente. 
L’indebolimento della struttura scheletrica tuttavia non si è spostato in avanti nel tempo. Quindi senza opportuni provvedimenti siamo destinati a fare l’esperienza di una frattura da osteoporosi in sempre crescente numero.
La qualità dell’osso è un patrimonio personale legato essenzialmente a fattori ereditari, razziali e familiari, ed individuali soprattutto da adeguata alimentazione ed attività fisica giovanile e stile di vita successivo. Nessuno conosce pertanto la propria “ricchezza” e quindi il fattore di rischio.
Importante quindi nella post menopausa nella donna e nella senilità nell’uomo muoversi per tempo con accertamenti: densitometria per misurazione dello stato di salute dell’osso ed esami ematochimici / urinari per l’individuazione della rapidità di perdita ed eventuali altre malattie responsabili di un andamento allarmantemente negativo.
Svelati i casi a rischio disponiamo di farmaci di consolidata efficacia nel ridurlo fino al 50% rapidamente, mentre novità medicinali recenti, promettono di essere in grado quasi di invertire il processo.
Un accertamento precoce potrà in tutti i casi eliminare fattori di rischio comportamentali individuali a volte non sospettati.

 
 

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